SIAMO TUTTI BRAVI A FARE SMART WORKING, MA LO FA MEGLIO CHI HA LA LAMPADA GIUSTA

28/07/2020

La prima lampada da scrivania ad accendere la luce sul lavoro fu la Anglepoise, progettata circa cento anni fa, nel 1929, dall'ingegnere britannico George Carwardine - che, in realtà, si occupava per lo più di sospensioni per automobili. All'opera, creando sistemi meccanici "in tensione" permamente, che potessero restare in equilibrio usando un sistema di leve molle, realizzò incidentalmente una strana lampada da tavolo con una base pesante come una roccia e un braccio snodato da quattro molle - per muovere il paralume in su e in giù, a destra e a sinistra. Il progetto venne brevettato circa un paio di anni più tardi la sua realizzazione, ma, nell'imminente, fu usata solo per l'industria militare o montata su treni e aerei da guerra. La versione domestica, con tre molle al posto di quattro, decisamente più graziosa nell'aspetto, varcò le soglie di casa nel 1935. Così la Anglepoise Original 1227 si piazzò elegantemente su scrivanie di uffici e studi privati, segnando un punto di partenza per il design della luce.

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Luce. Una delle parole più belle della nostra lingua è anche la fonte suprema di ogni cosa, oggi persino realistica rivelazione del lavoro svolto bene. Quando Zoom squilla, incliniamo il paralume con agilità e spontaneità, gesto inconsapevole per illuminare uno spazio che diventa ospite di più persone. Non solo. Ne giriamo la testa luminosa quando il tavolo torna a essere l'appoggio di una tazza di caffè; ne ruotiamo, di nuovo, il collo lungo e sinuoso sul foglio pieno di appunti e scarabocchi. Necessaria e indispensabile, la luce si accende sul tavolo e noi lavoriamo meglio.


Primo giorno sul nuovo posto di lavoro. Sguardo intorno: scrivania, pc, un porta penne con un paio di biro, sedia e lampada. Essenziale ma perfetto. Secondo giorno di lavoro. Aggiungiamo i piccoli strumenti che ci mancano: una tazza personale o la borraccia per l'acqua per esempio. Così i giorni passano e, mentre finiamo per accumulare sciocchezze di ogni sorta sulla nostra scrivania, ci accorgiamo anche di quanto sia importante la luce. Mentre appunto, prima del Covid-19, alle lampade, ci pensava il datore di lavoro, e tutte, tavolo dopo tavolo, abbracciavano l'ambiente allo stesso modo, adesso ci facciamo i conti personalmente - perché, una lampada da scrivania si fa spazio improvvisamente sul tavolo del living, dove facciamo del telelavoro una sopravvivenza con benefici tutti da scoprire. Proprio lì, dirimpetto alla cucina, di certo, non avremmo mai pensato di trascorrere otto ore al giorno seduti davanti al computer. Ma adesso è così.


"Ah" - l'avete sentito anche voi questa eco? Era il respiro di sollievo che si alzava all'unisono nel passaggio, fisico ed emotivo, che ci ha visti protagonisti del salto dalla fase 1 alla fase 2 del Coronavirus: "Lo smart working continuerà" - ci hanno detto. E l'abbiamo presa bene. Ma sul tavolo c'è davvero la lampada giusta? Chi ce l'ha, lavora meglio. Soprattutto se la lampada in questione è di design, cioè studiata nei minimi dettagli per offrire grandi prestazioni.


La famiglia di lampade Naska di Fontana Arte è un classico dal 1933. È un po' come il pater familias delle lampade da scrivania, perché ha conservato la sua forma archetipale e originale, sposando comunque un'identità slanciata. Si presta agli spazi domestici e a quelli d'uso lavorativo. Il braccio è bilanciato a molle per un'esperienza di illuminazione intima e funzionale.


Disegnata dal Joe Colombo nel 1965, la Spider di Oluce è composta da un unico corpo illuminante con una speciale lampadina a spot orizzontale, montabile, grazie a uno snodo in melamina, su diversi supporti (tavolo, terra, parete e soffitto). Nel 1967 Spider vinse il primo Compasso d’Oro per Oluce e, nel 1972, arrivò a New York per l'indimenticabile mostra Italy: the New Domestic Landscape. Oggi è parte delle collezioni permanenti della Triennale di Milano, del Philadelphia Museum of Art, del Kunstmuseum di Düsseldorf e del ”Neue Sammlung” Museum di Monaco di Baviera.

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